martedì 8 luglio 2008

LO SCECCO LE PORTA E LO SCECCO SE LE MANGIA

Bibì Metallurgico

Quanno si dice: "Lo scecco porta..." Cosa? Le carrubbe? La paglia? No, ci riferiamo ad uno scecco dalle fattezze umane, ovvero il Vostro corrispondente emigrato. Vegno e mi spiego: in primisi fughiamo il dubbio (ca a qualichi maligno ci potisse venire) che me la stia cantando e sonando io stisso, ovvero che stia decantando delle mie (ahimè!) inesistenti doti scicchigne: in tal caso, infatti, non di "Scecco che se le porta e se le mangia" abbisognasse parlare, bensì di "Scecco che si vanta e non vale manco mezza lira." In secundisi voglio chiarire chiddra che è la mia intenzione, ovvero contare il tristo epilogo di un tentativo fallito di ricostruire, almeno culinariamente, un pò di Sicania nella mia casa di emigrato. Ma veniamo ai fatti: fino a un poco di tempo fa, quanno che mi pigliava la nostalgia dei sapori della terra natìa, se le attrovavo con l’occhio vivo, mi accattavo una chilata scarsa di sarde frische mediterranee (accussì dice il cartillino della pescheria Coop, pir non diri ca sonno tunisine o marocchine, ma nenti ci fa, sono bone lo stisso) pir fare una bella tiglia di sarde a beccafico. E con tanto prìo, pinsanno ad una gara ideale di bravura con la cammarera Adelina di camilleriana memoria (il Sommo si toccherà energicamente i cabasisi, se mai dovisse leggere la palora "memoria," ma, essendo egli oramà un mito vivente, si deve rassegnare e toccarsi), mi cimentavo nella noiosa sfida alla lisca della sarda. Non difficile da livare la lisca ma faticosa: fatica giustificata solo dall’intenso desiderio di tastare quel sapore dilicato di sarda appena cotta in forno, passulina, pinoli, pani grattato, una spruvulazzata d’aglia, ogghio bono, una feddra di arancio o di limione (a piaciri) e l’immancabbili foglia di addragaro. E invece?...direte voi... e invece... la mia zita montelusana le sarde a beccafico non le mangia volentieri: ne tasta una pir educazioni e basta. I nostri figli manco a parlarini! Il risultato è chiddro che Vi ho anticipato nel titolo: lo scecco (che poi fossi io stisso) accattava le sarde, le lavava, le diliscava, le cunzava con tanto amuri, le infornava e se le mangiava praticamente da solo, consolato solo da qualichi bicchieri di nivuro d’Avola accattato pir l’occasione...

Le sarde non me ne vogliano ma non me la fido più a dedicare loro tutte queste attenzioni senza condividerne poi il risultato con altri commensali. Voli diri che le mangerò quanno che torno a Montelusa quest’estati...