giovedì 29 marzo 2007

COPPOLE STORTE 2 (scenari fantastici)

Totoneddru Buffaro quella matina parìa un'anciddra. La notti non avìa potuto chiuiri occhio. Ora, nirbuso, s'arriminava lesto tra le stanze come posseduto dall'idea che gli era vinuta la sira avanti. Niscì da casa con lo sguardo fisso senza taliari a nisciuno. Niente. Non c'era anima criata che potesse distoglierlo dal suo pinzero. I cristiani s'avvicinavano per il solito vasa vasa, ma nenti. A Totò un ci passava manco pa minchia di scummattiri a qualicheduno.


Come in trance trasì nel suo officio di governatori e subito chiamò a segretaria. “Signorina – ci dissi con voci trimanti di chi non sapi più tratteniri il suo entusiasmo – chiamassi Retelibera di Montelusa e ci dicissi a Tascaldo di veniri cca”. Quanno era nirbuso nella sua parlata l' accento raccadalisi si accentuava.


“Minchia, che idea – esclamò a vuci auta senza addunarsene. - Accussì la mettiamo in culo a tutti. Addivintamu ricchi e a sti pizzenti do governo nazionali e ai leghisti di stu cazzu manco tanticchia di soddisfazioni... Federalismo fiscali vonnu? Puru noi. Li invitiamo a vidiri i templi, a centrali, un piatto di macco e poi se la fanno ficcare 'nculo a Roma. Via, via dalla Sicilia. La Sicilia cosa nostra è”.

S'avìa infervoruto como quanno faciva i comizi quanno era caruso. Anzi, picciotto. Ma Totò, in fondo, nell'animo picciotto c'era sempre rimasto.


In un vidiri e sbidiri Tascaldo arrivò a Palermo. Acchianò i scaluna a quattro a quattro. Eleganti nella sua cammisa arancioni a quatretti, trasì nell'officio del governatori un poco trafelato. Grapennu a porta dell'officio di gabinetto si livò a coppola, la stissa 'ntifica ca c'avia arrigalato proprio Totò. E il governatori di darrè a scrivania, impaziente, ci dissì: “Compà, allistemuni, attacca sta minchia di telecammara che non ne posso più”.


S'assittarono nel divanetto mentre il cameramen sistimava l'attrezzo nel cavalletto. Un istante dopo s'addrumò la lucetta rossa. Tascaldo ebbe appena il tempo di murmuriari: “Compà, e u vinu?” che Totò già avia partuto a parlare facenno con la facci lo stesso sforzo che uno fa quanno arriva ad assittarisi nel cesso dopo aver a lungo disiato quel momento.


“Compà – dissi Totò tutto d'un fiato – ho avuto un'antra idea meravigliosa. Dopo i termovalorizzatori e i rigassificatori, c'è un altra cosa che in Italia non vuole nessuno. E io ho pinzato di mettila a Montelusa. Tanto lo sai, i montelusani non dicino nenti e puro sta vota sa fanno mettiri 'nculo senza diri ne ai ne bai. Una centrali nucleari, compà!”.


Tascaldo arristò ammammaloccuto. “Minchia, l'idea bona è” - disse. “Ma comu ti vennu ah?”.
“Non lo so. Aieri sira stavo arraggionando su quella maghis-discarica da fare a Chiano San Grigorio, ma poi pinzavo che forse il feto di merda sarebbe stato troppo forti in estati. Ma non è tanto per il feto. E' che purtroppo ai Templi non ci vanno i montelusani ca, armaluzzi, non dicino nenti, ma i forasteri! Minchia, e chiddri sì ca sanno fari burdellu: Santori, Travagli, cu minchia i tinissi a chisti? Ma proponenno la centrali nucleari, ca è cosa pulita, la cosa si spostassi sulo sul piano politico e bonu cchiù, capisci?”.


“Potenza do macco! Totò sei un genio. Anzi, sa chi ti dico? Sei il governatori più bravo che c'è oggi in questa stanza!”. “Talè compà – arrispunnì Totò inorgoglito ma visibilmente stravolto – stavota non facciamola la puntata di Pinioni”. E accussì dicenno si levò la coppola e s'abbanonò sul divanetto, stremato e cannariato per lo sporzo.

Filippo Genuardi
(filippogenuardi@gmail.com)